L’UNICO TROFEO SOLLEVATO AL CIELO
16 maggio 1976.
C’ero anch’io.
Torino vs Cesena. Al 61’
Graziani crossa e Pulici si tuffa in quel modo indimenticabile, a non più di 30
centimetri da terra, e insacca la palla di testa. La Juve, che ci inseguiva
sotto di 1 punto, ora è a -3, perché sta perdendo 1-0 a Perugia, gol di Renato
Curi. Dio, è quasi fatta.
Ma 10 minuti dopo quel
fatidico gol di Pulici, c’è lo scellerato autogol di Mozzini. 1-1.
Poi finisce la partita.
Cos’ha fatto la Juve? Radice
è visibilmente contrariato, perché con questo risultato abbiamo rovinato il
record di vittorie al Comunale. Com’è finita a Perugia??? Castellini piange a
dirotto. ‘Fanculo, è finita male. Oppure no, forse no, perché Castellini
piange, sì, ma piange di una gioia incontenibile! E Pulici si aggira intontito
per il campo, ma solo perché la tensione e la stanchezza soverchiano la sua
felicità, mentre Pianelli ammette di aver sempre detto di non crederci, ma solo
per scaramanzia!
È fatta!!! La Juve a Perugia
ha perso! È fatta davvero!!! Dopo 27 anni da quell’ultimo scudetto vinto dagli angeli
del Grande Torino che mai poterono finire quel torneo, SIAMO DI NUOVO CAMPIONI
D’ITALIA!!!!
Io c’ero.
Sì. A casa. Con ogni
probabilità in braccio a mia madre e con gli occhi chiusi, addormentato. Già,
perché avevo esattamente 7 giorni di vita. Quelli al Comunale a godersi la
festa erano mio padre e mio nonno, non io.
Quindi no. L’unico trofeo
sollevato al cielo, per me, non è quel meraviglioso ed irripetibile Scudetto.
L’unico trofeo, qui, è la Coppa Italia del 1993, che sarà anche “solo” una Coppa
ItaIia, ma è il MIO trofeo.
Nel ’93 avevo 17 anni, e
dopo il gran bel Toro di Junior e compagnia, in pratica avevo negli occhi solo brucianti
delusioni, come la finale di Coppa Italia persa con la Samp nell’88, la
retrocessione dell’89 e la stramaledetta finale di Coppa Uefa, persa, anzi non
vinta, contro i pali della porta dell’Ajax nel ’92.
In quella stagione la
squadra era sostanzialmente la stessa di Amsterdam, con un Lentini e un Vazquez
in meno e un Pato Aguilera e un Daniele Fortunato in più.
Per cominciare, va detto che
a quel tempo la nostra coppa nazionale era una competizione seria, la cui
formula era ben diversa dal sistema obbrobrioso che è in voga da qualche anno. Escludendo
il primo turno preliminare, destinato alle squadre di serie B e alla 13ª e 14ª
classificata del campionato precedente, la coppa si articolava in cinque turni
a eliminazione diretta, a partire dai sedicesimi di finale sino a giungere alla
finale, con gare di andata e di ritorno.
In quell’edizione ci
capitarono Monza e Bari nei primi due turni, squadre non eccessivamente ostiche
che però superammo faticando più del dovuto. Col Monza vincemmo l’andata fuori
casa 3-2 e il ritorno in casa 1-0; mattatore del doppio scontro Pato Aguilera,
che segnò un gol per partita. Col Bari invece pareggiamo 1-1 al San Nicola e
riuscimmo ad imporci fortunosamente 1-0 nel ritorno casalingo.
Ma da questo momento in poi
il nostro percorso divenne decisamente difficile, perché in successione dovemmo
affrontare Lazio e Juve, prima di approdare alla finale con la Roma.
Con la Lazio di Signori,
nella gara di andata all’Olimpico, dopo essere andati sotto 2-0 riuscimmo a
pareggiare grazie a Fusi e Scifo, e nel ritorno al Delle Alpi a vincere 3-2 in
una partita tiratissima, con Marchegiani assoluto protagonista nel salvare la
nostra porta in numerose occasioni.
Quelle con la Juve del Trap furono
poi due partite molto dure all’insegna dell’equilibrio, finite entrambe in
pareggio, 1-1 all’andata e 2-2 al ritorno, dove riuscimmo a passare il turno
grazie al maggior numero di reti realizzate “in trasferta”. Indimenticabili i
due gol, distribuiti uno per partita, del giovane Paolino Poggi, che aveva la
diabolica abitudine di alzarsi dalla panchina sulla quale sedeva, entrare in
campo come un pazzo e segnare pochi minuti dopo.
Eravamo arrivati fino in
fondo. Un’altra finale. Di nuovo. Con la memoria che correva subito a quella
dell’anno prima ad Amsterdam, ben più importante e tanto finita male, con
quella sedia già entrata nella leggenda. La “nostra” sedia.
La Roma di Boskov era
certamente una gran bella squadra, con gente come Aldair, Mihajlovic, Giannini
e Rizzitelli. Ma noi, obbiettivamente, eravamo meglio: un gran portiere come
Marchegiani, una difesa granitica con Fusi, Bruno e Annoni, tanto lavoro di
gambe e di polmoni con Venturin e Mussi, il cervello sottile e altamente
strategico di Fortunato, fantasia e inserimenti con Scifo, e quei 4 bomber ad
alternarsi là davanti, per motivi diversi uno più bello dell’altro: Casagrande,
Silenzi, Aguilera e Poggi. E poi, Mondonico il Grande in panchina.
Però la doppia sfida non fu
per niente facile. Anzi.
L’andata si giocava in casa.
Impensabile, ovviamente, non andare a vederla allo stadio. Per l’occasione si
fece sentire mio cugino Renato, il cui amore per la maglia granata veniva
superato solo dall’inarrestabile potere di annichilire ogni possibilità di
vittoria, soprattutto quando guardava una partita insieme a me. Insomma, io e
mio cugino davanti al Toro, dal vivo o in tv che fosse, portavamo una sfiga
assolutamente incontrovertibile.
E quindi io e mio padre cosa
decidemmo di fare? Di andare a vedere la partita in curva con mio cugino. Mi
sembra giusto.
Eppure, nonostante queste
premesse e l’istinto suicida che ci aveva mossi, la partita di andata fu
semplicemente perfetta: un 3-0 secco, Roma del tutto annichilita, con autogol
di Benedetti (finalmente utile alla causa granata) e gol di Cois e di Daniele Fortunato,
cui peraltro ruppero il naso nel primo tempo, vomitò dal dolore, resistette in
campo per tutta la durata del match e siglò appunto il 3-0, sigillando il
risultato.
Roma annientata, sfiga di
mio cugino disinnescata e coppa in cassaforte, vai a recuperarlo un 3-0!!!
Ecco, appunto.
Nulla col Toro è scontato,
mai: il ritorno a Roma finì 5-2 per i giallorossi.
Forse una delle partite più
assurde e drammatiche di tutta la storia del Toro. Tre rigori fischiati contro.
TRE. Due dei quali quantomeno più che discutibili. Il tutto grazie all’opera
del signor Carlo Sguizzato di Verona, cui mi sforzo di non affibbiare alcun
epiteto, all’ultimo arbitraggio della sua carriera. E vorrei vedere che non
fosse stato l’ultimo.
Ciononostante, come si
diceva, finì 5-2, con una doppietta di quel meraviglioso Silenzi che l’anno
dopo siglò 17 gol in campionato. E col 3-0 dell’andata, il 5-2 a noi bastava.
Campioni. Cazzo. CAMPIONI!!!
Nonostante la sfiga di mio cugino si fosse fatta sentire, e quanto, con una
settimana di ritardo, e faccio presente che il ritorno neanche l’avevamo visto
insieme, CAMPIONI!!!! Il primo trofeo granata della mia vita!!! CAMPIONI!!!!
Il primo e UNICO trofeo
granata della mia vita. Ma questo non potevo saperlo.
Un trofeo fantastico,
arrivato quasi sul volgere di una breve ma gloriosa parabola calcistica che di
lì a poco avrebbe portato il Toro di fronte al suo periodo più oscuro,
costellato di retrocessioni in serie B e lunghe permanenze nella stessa, con
qualche rapida boccata di ossigeno in A, fino ad arrivare al fallimento
finanziario del 2005. Una coppa piena di “tremendismo”, vinta attraverso una
serie di partite che hanno avuto tutti i connotati delle imprese eroiche,
sportivamente parlando. Un’escalation di emozioni che, purtroppo, non ho mai
più rivissuto, in quel climax sensoriale che nel calcio puoi provare solo
partendo da lontano, dalle prime se non primissime giornate di un campionato, o
dai primi turni di una coppa appunto, a patto che poi tutto si concluda nel
migliore dei modi, portandoti così a realizzare un piccolo enorme sogno
condiviso.
Ma quella volta andò proprio
così. Quell’unica volta andò bene dall’inizio alla fine.
Stavolta nessuna sedia da
alzare al cielo, Emiliano. Stavolta al cielo hai potuto alzare le braccia e un
trofeo. E io con te, per l’unica volta nella mia vita di tifoso. Ma quanto è
stata bella quell’unica volta.
Roborio
La squadra con la Coppa Italia appena conquistata
Annoni solleva Aguilera che solleva la Coppa
Tuttosport, il giorno dopo
Non so quante squadre al mondo hanno la "fortuna" di prendere 3 pali nel ritorno di una finale uefa e di subire 3 rigori nel ritorno di una finale di coppa nazionale
RispondiEliminaUNA, solo ed esclusivamente UNA... 😅
RispondiEliminaDavvero.. siamo unici...le cose non dobbiamo sudarle ...di più...
RispondiEliminaGià. Probabilmente è il nostro destino.
RispondiEliminaMeglio così, almeno non c'è alcuna ombra su quel che abbiamo vinto...i nostri trofei splendono il triplo del normale... 😉
Anch'io nel 1976 c'ero...allo stadio con Bunel! :)
RispondiEliminaMaledetto... :)
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