sabato 18 aprile 2020



L’UNICO TROFEO SOLLEVATO AL CIELO


16 maggio 1976.

C’ero anch’io.

Torino vs Cesena. Al 61’ Graziani crossa e Pulici si tuffa in quel modo indimenticabile, a non più di 30 centimetri da terra, e insacca la palla di testa. La Juve, che ci inseguiva sotto di 1 punto, ora è a -3, perché sta perdendo 1-0 a Perugia, gol di Renato Curi. Dio, è quasi fatta.

Ma 10 minuti dopo quel fatidico gol di Pulici, c’è lo scellerato autogol di Mozzini. 1-1.

Poi finisce la partita.

Cos’ha fatto la Juve? Radice è visibilmente contrariato, perché con questo risultato abbiamo rovinato il record di vittorie al Comunale. Com’è finita a Perugia??? Castellini piange a dirotto. ‘Fanculo, è finita male. Oppure no, forse no, perché Castellini piange, sì, ma piange di una gioia incontenibile! E Pulici si aggira intontito per il campo, ma solo perché la tensione e la stanchezza soverchiano la sua felicità, mentre Pianelli ammette di aver sempre detto di non crederci, ma solo per scaramanzia!

È fatta!!! La Juve a Perugia ha perso! È fatta davvero!!! Dopo 27 anni da quell’ultimo scudetto vinto dagli angeli del Grande Torino che mai poterono finire quel torneo, SIAMO DI NUOVO CAMPIONI D’ITALIA!!!!

Io c’ero.

Sì. A casa. Con ogni probabilità in braccio a mia madre e con gli occhi chiusi, addormentato. Già, perché avevo esattamente 7 giorni di vita. Quelli al Comunale a godersi la festa erano mio padre e mio nonno, non io.

Quindi no. L’unico trofeo sollevato al cielo, per me, non è quel meraviglioso ed irripetibile Scudetto. L’unico trofeo, qui, è la Coppa Italia del 1993, che sarà anche “solo” una Coppa ItaIia, ma è il MIO trofeo.

Nel ’93 avevo 17 anni, e dopo il gran bel Toro di Junior e compagnia, in pratica avevo negli occhi solo brucianti delusioni, come la finale di Coppa Italia persa con la Samp nell’88, la retrocessione dell’89 e la stramaledetta finale di Coppa Uefa, persa, anzi non vinta, contro i pali della porta dell’Ajax nel ’92.

In quella stagione la squadra era sostanzialmente la stessa di Amsterdam, con un Lentini e un Vazquez in meno e un Pato Aguilera e un Daniele Fortunato in più.

Per cominciare, va detto che a quel tempo la nostra coppa nazionale era una competizione seria, la cui formula era ben diversa dal sistema obbrobrioso che è in voga da qualche anno. Escludendo il primo turno preliminare, destinato alle squadre di serie B e alla 13ª e 14ª classificata del campionato precedente, la coppa si articolava in cinque turni a eliminazione diretta, a partire dai sedicesimi di finale sino a giungere alla finale, con gare di andata e di ritorno.

In quell’edizione ci capitarono Monza e Bari nei primi due turni, squadre non eccessivamente ostiche che però superammo faticando più del dovuto. Col Monza vincemmo l’andata fuori casa 3-2 e il ritorno in casa 1-0; mattatore del doppio scontro Pato Aguilera, che segnò un gol per partita. Col Bari invece pareggiamo 1-1 al San Nicola e riuscimmo ad imporci fortunosamente 1-0 nel ritorno casalingo.

Ma da questo momento in poi il nostro percorso divenne decisamente difficile, perché in successione dovemmo affrontare Lazio e Juve, prima di approdare alla finale con la Roma.

Con la Lazio di Signori, nella gara di andata all’Olimpico, dopo essere andati sotto 2-0 riuscimmo a pareggiare grazie a Fusi e Scifo, e nel ritorno al Delle Alpi a vincere 3-2 in una partita tiratissima, con Marchegiani assoluto protagonista nel salvare la nostra porta in numerose occasioni.

Quelle con la Juve del Trap furono poi due partite molto dure all’insegna dell’equilibrio, finite entrambe in pareggio, 1-1 all’andata e 2-2 al ritorno, dove riuscimmo a passare il turno grazie al maggior numero di reti realizzate “in trasferta”. Indimenticabili i due gol, distribuiti uno per partita, del giovane Paolino Poggi, che aveva la diabolica abitudine di alzarsi dalla panchina sulla quale sedeva, entrare in campo come un pazzo e segnare pochi minuti dopo.

Eravamo arrivati fino in fondo. Un’altra finale. Di nuovo. Con la memoria che correva subito a quella dell’anno prima ad Amsterdam, ben più importante e tanto finita male, con quella sedia già entrata nella leggenda. La “nostra” sedia.

La Roma di Boskov era certamente una gran bella squadra, con gente come Aldair, Mihajlovic, Giannini e Rizzitelli. Ma noi, obbiettivamente, eravamo meglio: un gran portiere come Marchegiani, una difesa granitica con Fusi, Bruno e Annoni, tanto lavoro di gambe e di polmoni con Venturin e Mussi, il cervello sottile e altamente strategico di Fortunato, fantasia e inserimenti con Scifo, e quei 4 bomber ad alternarsi là davanti, per motivi diversi uno più bello dell’altro: Casagrande, Silenzi, Aguilera e Poggi. E poi, Mondonico il Grande in panchina.

Però la doppia sfida non fu per niente facile. Anzi.

L’andata si giocava in casa. Impensabile, ovviamente, non andare a vederla allo stadio. Per l’occasione si fece sentire mio cugino Renato, il cui amore per la maglia granata veniva superato solo dall’inarrestabile potere di annichilire ogni possibilità di vittoria, soprattutto quando guardava una partita insieme a me. Insomma, io e mio cugino davanti al Toro, dal vivo o in tv che fosse, portavamo una sfiga assolutamente incontrovertibile.

E quindi io e mio padre cosa decidemmo di fare? Di andare a vedere la partita in curva con mio cugino. Mi sembra giusto.

Eppure, nonostante queste premesse e l’istinto suicida che ci aveva mossi, la partita di andata fu semplicemente perfetta: un 3-0 secco, Roma del tutto annichilita, con autogol di Benedetti (finalmente utile alla causa granata) e gol di Cois e di Daniele Fortunato, cui peraltro ruppero il naso nel primo tempo, vomitò dal dolore, resistette in campo per tutta la durata del match e siglò appunto il 3-0, sigillando il risultato.

Roma annientata, sfiga di mio cugino disinnescata e coppa in cassaforte, vai a recuperarlo un 3-0!!!

Ecco, appunto.

Nulla col Toro è scontato, mai: il ritorno a Roma finì 5-2 per i giallorossi.

Forse una delle partite più assurde e drammatiche di tutta la storia del Toro. Tre rigori fischiati contro. TRE. Due dei quali quantomeno più che discutibili. Il tutto grazie all’opera del signor Carlo Sguizzato di Verona, cui mi sforzo di non affibbiare alcun epiteto, all’ultimo arbitraggio della sua carriera. E vorrei vedere che non fosse stato l’ultimo.

Ciononostante, come si diceva, finì 5-2, con una doppietta di quel meraviglioso Silenzi che l’anno dopo siglò 17 gol in campionato. E col 3-0 dell’andata, il 5-2 a noi bastava.

Campioni. Cazzo. CAMPIONI!!! Nonostante la sfiga di mio cugino si fosse fatta sentire, e quanto, con una settimana di ritardo, e faccio presente che il ritorno neanche l’avevamo visto insieme, CAMPIONI!!!! Il primo trofeo granata della mia vita!!! CAMPIONI!!!!

Il primo e UNICO trofeo granata della mia vita. Ma questo non potevo saperlo.

Un trofeo fantastico, arrivato quasi sul volgere di una breve ma gloriosa parabola calcistica che di lì a poco avrebbe portato il Toro di fronte al suo periodo più oscuro, costellato di retrocessioni in serie B e lunghe permanenze nella stessa, con qualche rapida boccata di ossigeno in A, fino ad arrivare al fallimento finanziario del 2005. Una coppa piena di “tremendismo”, vinta attraverso una serie di partite che hanno avuto tutti i connotati delle imprese eroiche, sportivamente parlando. Un’escalation di emozioni che, purtroppo, non ho mai più rivissuto, in quel climax sensoriale che nel calcio puoi provare solo partendo da lontano, dalle prime se non primissime giornate di un campionato, o dai primi turni di una coppa appunto, a patto che poi tutto si concluda nel migliore dei modi, portandoti così a realizzare un piccolo enorme sogno condiviso.

Ma quella volta andò proprio così. Quell’unica volta andò bene dall’inizio alla fine.

Stavolta nessuna sedia da alzare al cielo, Emiliano. Stavolta al cielo hai potuto alzare le braccia e un trofeo. E io con te, per l’unica volta nella mia vita di tifoso. Ma quanto è stata bella quell’unica volta.

Roborio




La squadra con la Coppa Italia appena conquistata





Annoni solleva Aguilera che solleva la Coppa





Tuttosport, il giorno dopo



6 commenti:

  1. Non so quante squadre al mondo hanno la "fortuna" di prendere 3 pali nel ritorno di una finale uefa e di subire 3 rigori nel ritorno di una finale di coppa nazionale

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  2. UNA, solo ed esclusivamente UNA... 😅

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  3. Davvero.. siamo unici...le cose non dobbiamo sudarle ...di più...

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  4. Già. Probabilmente è il nostro destino.
    Meglio così, almeno non c'è alcuna ombra su quel che abbiamo vinto...i nostri trofei splendono il triplo del normale... 😉

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  5. Anch'io nel 1976 c'ero...allo stadio con Bunel! :)

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