giovedì 9 aprile 2020



A EZIO VENDRAME


Da Calci al Vento

“Sì, lo confesso: scrivo per non ammazzarmi. Attraversando la vita ho ecceduto negli abbracci soltanto per soffocare parzialmente la mia disperazione. E le rare volte che mi sono trovato tra la gente, ho sorriso per nascondere l’infelicità che da sempre mi perseguita. Questo sono stato e questo sono rimasto. Ma ancora oggi, nonostante siano trascorsi dei decenni da quando mi credevano un calciatore, le poche volte che mi faccio sezionare nell’apparire per qualche intervista, come un marchio indelebile sembra che di me siano rimaste accese soltanto le folli anomalie di quel disadattato calciatore.”

Questo e molto altro è Ezio Vendrame. O meglio, è stato. Già, perché qualche giorno prima della stesura di questo articolo, il genio di Casarsa se n’è andato da questa dimensione e ci ha lasciato per sempre.

Perché cominciare la nostra galleria di personaggi sportivi proprio con lui? Sicuramente perché, tra le tante cose, è stato un abbagliante esempio di quanto un uomo possa andare controcorrente nella sua carriera di calciatore e di uomo. Estroso, anticonformista, lontano da ogni tipo di retorica e davvero poco propenso a rispettare le regole, soprattutto quelle rigide e ottuse. Insomma, un vero Alzatore di Sedie, forse anche di panchine.

Ma chi era davvero Ezio Vendrame? Beh, probabilmente il quinto Beatles. Anzi, il settimo, ma solo perché il quinto lo è stato George Best e il sesto Gigi Meroni.

Nato nel ‘47 a Casarsa della Delizia, in provincia di Pordenone, Ezio crebbe in un orfanotrofio, un’esperienza difficile che lo segnò per tutta la sua vita.

Col calcio cominciò a Udine, nelle giovanili, per poi approdare, ventenne, alla Spal, in Serie A, dove però vide la massima categoria solo dalla tribuna o tutt’al più dalla panchina.

Il suo ruolo era quello di ala, talvolta di mezzala con buona propensione alla fase offensiva e creativa, ma certamente il talento di Vendrame mal si adattava a schemi e definizioni.

Dopo la parentesi ferrarese navigò per qualche anno in serie C, in squadre come la Torres, il Siena e il Rovereto, per poi tornare finalmente in A per restarci, dal ’71 al ’74, nel Lanerossi Vicenza, dove giocò con una discreta continuità e un buon rendimento.

La stagione successiva passò al Napoli, fortemente voluto dall’allenatore dei partenopei Luis Vinicio, che dopo averlo agognato e ottenuto, lo ostracizzò decisamente, facendogli disputare solamente tre partite.

Tornò quindi a calcare i campi della Serie C, prima col Padova per due anni e poi con l’Audace San Michele Extra, stagioni nelle quali forse espresse il suo miglior calcio.

Finì infine tra i dilettanti del Pordenone, per poi terminare la propria parabola sportiva nello Juniors Casarsa, squadra della sua città natale, dove fu squalificato a vita per aver strappato il fischietto di bocca ad un arbitro nel 1981.

Ecco, quest’ultimo suo gesto, emblematico del suo carattere libero e irriverente, è uno dei tanti episodi divertenti e geniali, talvolta al limite della follia, che hanno costellato la sua vita, tra i quali va certamente menzionato quello in cui, ai tempi del Padova, salì sopra il pallone nel bel mezzo di un’azione di gioco per salutare il suo amico cantautore e poeta Piero Ciampi, che era in tribuna a guardare la partita; oppure quello, sempre a Padova, in una sfida contro l’Udinese, in cui fece finta di soffiarsi il naso con la bandierina del corner, per poi provocare i tifosi friulani, rei di averlo fischiato per tutta la partita, minacciandoli di segnare un gol direttamente da calcio d’angolo…cosa che puntualmente avvenne.

Indimenticabile la circostanza in cui, ancora nel Padova, in Serie C, in un match a suo dire combinato e destinato allo 0-0 contro la Cremonese, decise, peraltro da capitano, di scartare tutti i propri compagni di squadra per poi presentarsi davanti al suo portiere, Bartolini, farlo sedere a terra con una finta, arrivare ad un passo dall’autorete e infine tornare indietro, giusto per “dare qualche emozione” ad una partita piatta e scontata. Epilogo drammatico di questo suo gesto, purtroppo, fu la morte per infarto di un povero tifoso debole di cuore in tribuna, cui seguì il catastrofico commento di Vendrame, che chiosò con un “Cazzo, mi è dispiaciuto tanto, ma poi ho pensato che se uno è malato di cuore e viene a vedermi giocare, allora vuol dire che ha intenzione di suicidarsi!”

Insomma, un pazzo. Ma anche un genio, un estroverso senza freni inibitori, un talento purissimo e perlopiù inespresso, che però fu sufficiente a farlo fuggire lontano dalla povertà cui quasi certamente sarebbe stato destinato.

E fu un’anima sensibile, che lo portò anche ad allenare i settori giovanili di diverse squadre minori, tra cui i pulcini, per i quali aveva una predilezione particolare, perché come diceva lui erano ancora incontaminati, “non avevano ancora avuto il tempo di incontrare qualcuno che mettesse loro i paletti della vita”; e fu al contempo un’anima piena di creatività, che gli permise anche di scrivere, e bene, alcuni libri di aneddoti e poesie, come Se mi mandi in tribuna godo, Calci al vento e Una vita fuori gioco, dove nell’ultima pagina si legge:

“L’inferno è un ottimo posto per uno come me che ha avuto il coraggio di vivere e morire senza alcun ritegno.”

Può darsi. Ma secondo me uno come te, uno che si è vergognato a morte per aver fatto un tunnel a San Siro al suo idolo Gianni Rivera, ha troppa umanità dentro per finire all’inferno. Uno con la tua poesia, calcistica e letteraria, deve continuare a seminarla altrove. E poi, con tutte le diavolerie che ti sei inventato, laggiù mi sa che non ti vorrebbero neanche.

Ciao Ezio.


Roborio










Ezio ai tempi del Lanerossi Vicenza





Una sua figurina Panini





Ezio Vendrame in tempi recenti



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