A EZIO VENDRAME
Da Calci al Vento…
“Sì, lo confesso: scrivo per
non ammazzarmi. Attraversando la vita ho ecceduto negli abbracci soltanto per
soffocare parzialmente la mia disperazione. E le rare volte che mi sono trovato
tra la gente, ho sorriso per nascondere l’infelicità che da sempre mi
perseguita. Questo sono stato e questo sono rimasto. Ma ancora oggi, nonostante
siano trascorsi dei decenni da quando mi credevano un calciatore, le poche
volte che mi faccio sezionare nell’apparire per qualche intervista, come un
marchio indelebile sembra che di me siano rimaste accese soltanto le folli
anomalie di quel disadattato calciatore.”
Questo e molto altro è Ezio
Vendrame. O meglio, è stato. Già, perché qualche giorno prima della stesura di
questo articolo, il genio di Casarsa se n’è andato da questa dimensione e ci ha
lasciato per sempre.
Perché cominciare la nostra
galleria di personaggi sportivi proprio con lui? Sicuramente perché, tra le
tante cose, è stato un abbagliante esempio di quanto un uomo possa andare controcorrente
nella sua carriera di calciatore e di uomo. Estroso, anticonformista, lontano
da ogni tipo di retorica e davvero poco propenso a rispettare le regole,
soprattutto quelle rigide e ottuse. Insomma, un vero Alzatore di Sedie, forse
anche di panchine.
Ma chi era davvero Ezio
Vendrame? Beh, probabilmente il quinto Beatles. Anzi, il settimo, ma solo
perché il quinto lo è stato George Best e il sesto Gigi Meroni.
Nato nel ‘47 a Casarsa della
Delizia, in provincia di Pordenone, Ezio crebbe in un orfanotrofio,
un’esperienza difficile che lo segnò per tutta la sua vita.
Col calcio cominciò a Udine,
nelle giovanili, per poi approdare, ventenne, alla Spal, in Serie A, dove però
vide la massima categoria solo dalla tribuna o tutt’al più dalla panchina.
Il suo ruolo era quello di
ala, talvolta di mezzala con buona propensione alla fase offensiva e creativa,
ma certamente il talento di Vendrame mal si adattava a schemi e definizioni.
Dopo la parentesi ferrarese
navigò per qualche anno in serie C, in squadre come la Torres, il Siena e il
Rovereto, per poi tornare finalmente in A per restarci, dal ’71 al ’74, nel
Lanerossi Vicenza, dove giocò con una discreta continuità e un buon rendimento.
La stagione successiva passò
al Napoli, fortemente voluto dall’allenatore dei partenopei Luis Vinicio, che
dopo averlo agognato e ottenuto, lo ostracizzò decisamente, facendogli
disputare solamente tre partite.
Tornò quindi a calcare i
campi della Serie C, prima col Padova per due anni e poi con l’Audace San
Michele Extra, stagioni nelle quali forse espresse il suo miglior calcio.
Finì infine tra i dilettanti
del Pordenone, per poi terminare la propria parabola sportiva nello Juniors
Casarsa, squadra della sua città natale, dove fu squalificato a vita per aver
strappato il fischietto di bocca ad un arbitro nel 1981.
Ecco, quest’ultimo suo
gesto, emblematico del suo carattere libero e irriverente, è uno dei tanti
episodi divertenti e geniali, talvolta al limite della follia, che hanno
costellato la sua vita, tra i quali va certamente menzionato quello in cui, ai
tempi del Padova, salì sopra il pallone nel bel mezzo di un’azione di gioco per
salutare il suo amico cantautore e poeta Piero Ciampi, che era in tribuna a
guardare la partita; oppure quello, sempre a Padova, in una sfida contro
l’Udinese, in cui fece finta di soffiarsi il naso con la bandierina del corner,
per poi provocare i tifosi friulani, rei di averlo fischiato per tutta la
partita, minacciandoli di segnare un gol direttamente da calcio d’angolo…cosa
che puntualmente avvenne.
Indimenticabile la
circostanza in cui, ancora nel Padova, in Serie C, in un match a suo dire
combinato e destinato allo 0-0 contro la Cremonese, decise, peraltro da
capitano, di scartare tutti i propri compagni di squadra per poi presentarsi
davanti al suo portiere, Bartolini, farlo sedere a terra con una finta,
arrivare ad un passo dall’autorete e infine tornare indietro, giusto per “dare
qualche emozione” ad una partita piatta e scontata. Epilogo drammatico di
questo suo gesto, purtroppo, fu la morte per infarto di un povero tifoso debole
di cuore in tribuna, cui seguì il catastrofico commento di Vendrame, che chiosò
con un “Cazzo, mi è dispiaciuto tanto, ma poi ho pensato che se uno è malato di
cuore e viene a vedermi giocare, allora vuol dire che ha intenzione di
suicidarsi!”
Insomma, un pazzo. Ma anche
un genio, un estroverso senza freni inibitori, un talento purissimo e perlopiù
inespresso, che però fu sufficiente a farlo fuggire lontano dalla povertà cui
quasi certamente sarebbe stato destinato.
E fu un’anima sensibile, che
lo portò anche ad allenare i settori giovanili di diverse squadre minori, tra
cui i pulcini, per i quali aveva una predilezione particolare, perché come
diceva lui erano ancora incontaminati, “non avevano ancora avuto il tempo di
incontrare qualcuno che mettesse loro i paletti della vita”; e fu al contempo
un’anima piena di creatività, che gli permise anche di scrivere, e bene, alcuni
libri di aneddoti e poesie, come Se mi
mandi in tribuna godo, Calci al vento
e Una vita fuori gioco, dove
nell’ultima pagina si legge:
“L’inferno è un ottimo posto
per uno come me che ha avuto il coraggio di vivere e morire senza alcun
ritegno.”
Può darsi. Ma secondo me uno
come te, uno che si è vergognato a morte per aver fatto un tunnel a San Siro al
suo idolo Gianni Rivera, ha troppa umanità dentro per finire all’inferno. Uno
con la tua poesia, calcistica e letteraria, deve continuare a seminarla
altrove. E poi, con tutte le diavolerie che ti sei inventato, laggiù mi sa che non
ti vorrebbero neanche.
Ciao Ezio.
Ezio ai tempi del Lanerossi Vicenza
Una sua figurina Panini
Ezio Vendrame in tempi recenti
Non lo conoscevo grazie!!
RispondiEliminaGrazie a te per averlo letto!
RispondiEliminaNon lo conoscevo,complimenti bella storia di un uomo-calciatore atipico.ciao
RispondiEliminaGrazie per la lettura, caro Fabbro!!! :)
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