L’UOMO DEI SOGNI
Immaginate di essere un
contadino dell’Iowa che se ne va avanti e indietro tra le pannocchie del
proprio campo di granoturco.
Ad un certo punto qualcosa interrompe
la vostra camminata e vi fa sussultare. Avete sentito un suono molto strano. Un
suono che assomigliava tanto ad una voce. E non avete neanche capito da dove provenisse.
Da dentro la vostra testa? No. Sembrava provenire da tutto intorno a voi, forse
dal cielo, o dal mais. Ma forse è stata solo una specie di allucinazione sonora,
chissà.
Ma poi lo sentite di nuovo:
“Se lo costruisci, lui tornerà”.
CHI PARLA??!!! COSA bisogna
costruire??? CHI tornerà???
Ecco, questo non è l’inizio
di un horror, anche se potrebbe esserlo perché ne ha tutti i crismi, e
l’elemento soprannaturale in effetti è presente, ma di un bellissimo film
legato allo sport, al baseball in particolare.
È l’inizio de L’Uomo dei Sogni (titolo originale Field of Dreams, molto più evocativo
della nostra traduzione italiana), pellicola del 1989 scritta e diretta da Phil
Alden Robinson e basata sul libro Shoeless
Joe di W. P. Kinsella.
Un film legato al baseball,
si diceva. E lo è per diversi motivi.
Innanzitutto perché Ray
Kinsella, il protagonista di questa storia ambientata negli anni ‘80, è un
grande appassionato di questo gioco, come lo era suo padre John, di cui ci
viene raccontata per sommi capi la vita subito dopo i titoli di testa,
attraverso la voce fuori campo dello stesso Ray.
E poi perché l’intera trama del
film ruota attorno ad uno degli avvenimenti più segnanti della Major League: la
squalifica a vita di 8 giocatori dei Chicago White Sox, nel 1919, accusati di
aver deliberatamente perso il campionato per via di un giro di scommesse mai
del tutto chiarito che rovinò le loro carriere; questa vicenda passò alla
storia col nome di “Scandalo dei Black Sox”, definizione che alludeva alla
perdita del candore dei calzettoni che davano il nome ai White Sox, che da
bianchi divennero neri a causa della corruzione di quei giocatori. Da qui, tra
l’altro, cominciò anche quella che venne soprannominata “La Maledizione dei
Black Sox”, perché dopo i fatti del 1919 la squadra di Chicago impiegò ben 40
anni per tornare a giocare le World Series (che sono le finali che decretano la
squadra campione della Major League) e addirittura 88 per vincerle di nuovo.
Ma Ray Kinsella cosa c’entra
con tutto questo?
C’entra eccome, dal momento
che la voce che ha sentito nel granoturco era quella di Shoeless Joe Jackson, il più
talentuoso degli otto squalificati, morto nel 1951, e perché ciò che dovrà
costruire, peraltro sul suo campo di pannocchie, sarà un meraviglioso campo da baseball,
il cui prato verrà calcato proprio dal redivivo Shoeless Joe e dagli altri sette
giocatori che dovettero abbandonare mazze e guantoni per sempre, dopo la loro
definitiva estromissione dal mondo del baseball professionistico.
Sull’identità di CHI sarà a
fare ritorno secondo “la voce del granoturco”, oltre a Shoeless e agli altri, invece
soprassiedo, vi ho già spoilerato fin troppo, anche se penso che quasi nessuno
di voi che leggete si sia perso L’Uomo
dei Sogni.
Un film ben diretto da
Robinson e con un cast davvero stellare, in cui spiccano un grandissimo Ray
Liotta nel ruolo di Shoeless Joe e Kevin Costner nel ruolo di Ray Kinsella, un ottimo
Kevin Costner, ben lontano dalle recenti disgrazie cinematografiche, che veniva
da successi come Silverado e Gli Intoccabili e che di lì ad un anno
avrebbe poi diretto e interpretato quel capolavoro che è Balla coi Lupi.
L’Uomo
dei Sogni è una storia di sport e di fantasmi, che fa percepire
con chiarezza quale enorme valore storico e sociale rappresenti il baseball nella
cultura americana, ma al contempo è anche un film poetico e profondo, che
proprio attraverso il baseball riesce a toccare ben altre corde, quelle legate
alle occasioni che abbiamo perso della nostra vita e al desiderio recondito che
ognuno di noi porta nel cuore: quello di poterle rivivere, quelle occasioni, e
di poterle finalmente cogliere come non siamo riusciti a fare nel passato.
Ray, in un commovente
finale, ci riesce, dopo aver assecondato il suo istinto, distruggendo il
proprio campo di mais e mettendo così a rischio la propria sopravvivenza
economica solo per inseguire una voce che aveva in testa e che solo lui sentiva.
Ma forse, solo una volta
ogni tanto, seguire le voci che abbiamo in testa non fa poi così male. Forse è
davvero uno dei pochi modi che abbiamo a disposizione per realizzare i nostri
sogni.
Roborio
Shoeless Joe e Ray Kinsella sul “Campo dei Sogni”
Shoeless Joe e il Baseball
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