venerdì 15 maggio 2020

EL TRINCHE - TOMAS FELIPE CARLOVICH



Quando penso a cosa sia il calcio, mi vengono in mente: le giocate, il talento, i colpi che i predestinati hanno anche a 80 anni.

Il calcio è la ricerca del “numero”, che viene raccontato dagli spettatori, quando lasciano i gradoni dello stadio. È il gesto che i bambini cercano di imitare nei campetti di periferia o ai giardini. Il calcio è divertimento a prescindere dal risultato, è trascorrere tanto tempo con gli amici.

Tomas Felipe Carlovich (con l’accento con sulla i) detto “El Trinche” è la sintesi di tutto ciò.

Nato il 20 aprile 1946, è il settimo figlio di Mario Carlovich, emigrante che arrivò in Argentina negli anni ’30, dalla Jugoslavia e si insediò a Rosario, nel quartiere Belgrano.

Nonostante El Trinche abbia due presenze in Primera Division e abbia trascorso gran parte della sua carriera in Primera B Nacional, ha conquistato il favore di tanti suoi colleghi e giornalisti.

Si racconta che, durante Central Cordoba-Talleres de Remedio de Escalada, un tifoso attaccato alla rete di bordo campo, avesse urlato a El Trinche di fare un “tunnel andata e ritorno” a un avversario: detto, fatto ed entusiasmo alle stelle sugli spalti.

Fu il primo di una lunga serie, tanto che lui stesso raccontò che i presidenti gli garantirono un bonus economico a tunnel, che diventava doppio in caso di “andata-ritorno”.

Aveva il baricentro alto, fatto che non gli impediva giocate di fino o lanci millimetrici di 30/40 metri; un mago, come abbiamo visto, del tunnel ma anche del sombrero e di ogni tipo di giocata di tecnica pura.

Era un mediano alto, un 5 classico, dicono un misto tra Redondo e Riquelme (per citarne due), con un sinistro delicatissimo. Gran dribblatore ma lento; come amava dire: “Quella che deve correre è la palla…”.

L’episodio che fece diventare famoso El Trinche, anche fuori dal perimetro di Rosario, avvenne nel 1974. La Seleccion bianco-celeste decise di organizzare l’ultima amichevole in vista del Mondiale tedesco, sfidando una selezione di giocatori di Rosario. 
Cinque del Newell’s Old Boys, cinque del Rosario Central ed El Trinche. Tra loro: Mario Kempes, Mario Zanabria, Daniel Killer, che faranno parlare di loro in futuro.

Nessuno dei nazionali conosceva Carlovich, a differenza dei 35.000 sugli spalti. El Trinche mise in mostra tutto il suo repertorio tanto che, all’intervallo, i “rosarini” erano in vantaggio 3-0. 

Raccontano che a fine primo tempo, Vladislao Cap, detto El Polaco, selezionatore della nazionale, sia andato dal suo omologo a chiedere di sostituire “il 5” che stava facendo a pezzi i suoi.

L’anno dopo, Carlovich, ricevette la sua unica convocazione in nazionale, dal CT Luis Cesar Menotti; ma non arrivò mai a Buenos Aires.

Pare che, partito da Rosario diretto verso la capitale, abbia fatto sosta in una località nella quale era presente un lago: si è messo a pescare e si è fatto tardi…

La sua carriera non ha raggiunto i livelli che meritava perché, come lui stesso ha dichiarato, non gli è mai piaciuto stare troppo lontano dalla sua città, dal suo quartiere, dai suoi amici e dal bar che frequentava.

Non era una testa calda, né si lasciava andare ad eccessi, semplicemente giocava per divertimento; il calcio era un gioco ed il suo modo di essere difficilmente avrebbe sopportato il rigore fisico e “l’esilio” richiesto dal professionismo: “Non avevo ambizioni, se non quella di giocare a palla”.

Ogni tanto, durante la partita, è successo che si sedesse sul pallone ma, come spiegò in seguito, non era un gesto irrispettoso, semplicemente era stanco…

La sua occasione migliore fu quando il Rosario Central lo notò nei tornei provinciali, lo tesserò ma non esordì mai in Primera. 

Le uniche due presenze nella massima divisione le fece con il Colon Santa Fe.




Le squadre che dice di aver amato sono il Central Cordoba di Rosario e l’Indipendente Rivadavia di Mendoza, che indica anche come i migliori anni della sua carriera.

Amore sempre ricambiato visto che, durante un'intervista, narrò che a Mendoza andò al ristorante con la moglie e giunto all’atto di pagare, gli venne detto che tutto era già stato saldato da un anonimo tifoso.

Per Josè Pekerman era “il giocatore più forte che abbia visto”; stravedevano per lui Luis Cesar Menotti ed il concittadino “Loco” Bielsa, che gli ha spedito il suo libro nel quale ha dedicato a El Trinche quattro pagine.

Nella stagione giocata con la maglia del Newell’s Old Boys di Rosario, un giornalista si rivolse a Diego Armando Maradona ringraziandolo perché era il miglior giocatore della storia della città; Maradona rispose: “Il miglior giocatore ha già giocato a Rosario, il suo nome è Carlovich”.



El Trinche, soprannome che pare gli sia stato affibbiato quando era piccolo, ma del quale non conosceva il reale significato, era persona semplice nel vestirsi e nella quotidianità in generale.

Ha trascorso la sua vita a Rosario, e lì era mercoledì scorso, in sella alla sua bici. Affiancato da un delinquente che voleva rubargliela, è stato spinto a terra e ha battuto il capo.
Dopo due giorni di coma, venerdì 8 maggio, è volato in cielo a fare tunnel e sombreri agli Angeli.

L’ultimo saluto si è tenuto al Gabino Sosa, stadio del “suo” Central Cordoba, con centinaia di persone sugli spalti che, nonostante le restrizioni dovute al Covid19, non hanno voluto mancare.

Che la terra ti sia lieve, El Trinche e salutami gli Invincibili!


Panino





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