mercoledì 3 giugno 2020




CALCI AL TALENTO




È il 29 settembre 2009.

Si gioca Rubin Kazan vs Inter, partita di Champions della fase a gironi.

Sì, è la Champions di Mourinho, è uno dei primi passi in quella competizione dell’Inter del Triplete, l’ultima squadra italiana che è riuscita a mettere le mani sulla coppa continentale per club più ambita in assoluto.

A poco più di 10 minuti dall’inizio del match si porta in vantaggio il Kazan col suo uomo migliore, il trequartista italo argentino Alejandro Damian Dominguez. Un quarto d’ora dopo i nerazzurri pareggiano con Stankovic. 1-1. Questo sarà anche il risultato finale.

La particolarità di questa partita è l’assenza per infortunio dell’Uomo dei Miracoli di quella meravigliosa Inter: Diego Milito, uno degli attaccanti più forti che si siano mai visti in Italia e forse nel Mondo.

Mourinho deve quindi sostituirlo. Al suo posto gioca Mario Balotelli.

Qualche minuto prima del gol di Stankovic, Balotelli prende un’ammonizione.

Finisce il primo tempo. Si va negli spogliatoi. Mourinho pensa che si possa anche vincere, ma che si debba soprattutto non perdere, perché un pareggio in un campo ostico come quello del Kazan non sarebbe per niente da buttare. Quindi cerca di evitare ogni rischio, uno dei quali è quello di rimanere in 10 per un eventuale secondo cartellino giallo che potrebbe prendere qualcuno che è già stato ammonito, ad esempio…Balotelli.

Conoscendolo, Mourinho gli dedica 14 dei 15 minuti a disposizione nell’intervallo per fargli capire una sola cosa: non deve prendere un secondo giallo. Solo questo.

“Mario, non posso sostituirti, non ho nessun altro attaccante in panchina. Gioca solo il pallone, non toccare mai nessuno. Quando perdi la palla non innervosirti, se ti provocano non reagire, anche se l’arbitro fa un errore fregatene, non reagire”.

Abile motivatore e grande psicologo, Mourinho. Sicuramente Mario ha interiorizzato il concetto.

Inizia il secondo tempo.

Passa un quarto d’ora. Secondo giallo a Balotelli. Inter in 10.

Ecco. Questo, più di ogni altra cosa, purtroppo, è Balotelli.

Un immenso spreco.

Ma non è soltanto questo, certo. È anche un giocatore pieno di talento, e non è solo un modo di dire, perché di talento ne ha davvero, e quando ha avuto voglia di giocare a calcio seriamente, cose belle ne ha fatte vedere molte.

Basterebbe ricordare i due gol fatti alla Germania nell’ormai famosa semifinale degli Europei del 2012, che portarono malauguratamente l’Italia in finale a prenderne 4 dalla Spagna dei Fenomeni.

In quell’occasione Balotelli, in un quarto d’ora, stese una delle nazionali più accreditate per il titolo e storicamente più forti: prima, grazie ad un suo grande stacco e ad un fantastico assist di Cassano, rubò il tempo al marcatore diretto e a Neuer e insaccò in rete di testa; 15 minuti dopo, con un missile terra-aria di una violenza inaudita che si schiantò poco sotto l’incrocio dei pali, trafisse di nuovo il portierone tedesco.

Tutto questo a 22 anni ancora da compiere.

A fine partita il cronista Rai, intervistando Prandelli, l’allora commissario tecnico della Nazionale, gli chiese: “Questa serata cambia la carriera di Mario Balotelli?”; Prandelli, giustamente, rispose: “La carriera di Mario Balotelli è appena iniziata”.

Era finalmente nata una nuova stella. Si era consacrato un campione. Super Mario era esploso definitivamente.

No. Prandelli si era sbagliato, come la maggior parte di tutti quelli che assistettero a quel match. Era stata solo un’illusione, perché quella partita ha rappresentato il culmine della carriera di Balo, costellata da lì in avanti di qualche alto e di tantissimi bassi.

Va detto che qualche settimana prima di quello storico trionfo sulla Germania, Mario, che in quel momento giocava nel Manchester City, nell’ultima giornata di campionato fornì l’assist decisivo ad Aguero per il 3-2 definitivo contro il Queens Park Rangers, che permise al City di vincere in rimonta quella partita e di consegnare ai propri tifosi il titolo della Premier dopo 44 anni di attesa. In quella stagione Balo, con 13 gol in 23 partite, contribuì a quello scudetto in modo decisamente concreto.

Ma questo, appunto, avveniva prima degli Europei. Erano i prodromi di quel che sarebbe avvenuto poco dopo nel massimo torneo calcistico continentale per squadre nazionali.

Dopo l’Europeo Mario, ancora nel Manchester, deluse nettamente le aspettative, segnando un solo gol in 16 partite e fornendo prestazioni disastrose, tanto da essere ceduto al Milan nella sessione di mercato di gennaio.

Ma in quella mezza stagione rossonera sembrava di nuovo pronto a spiccare definitivamente il volo: 12 reti in 13 presenze, prestazioni quasi sempre di alto livello, Balo era tornato!

No, sbagliato, solo un’altra illusione: l’anno successivo la media gol cala nettamente, anche se grazie ai rigori rimane più che dignitosa: 14 gol in 30 presenze. Ma le prestazioni sono molto altalenanti, la presenza in campo è a tratti impalpabile, se non quando si fa notare per ammonizioni, espulsioni e rigori falliti.

L’anno dopo passa al Liverpool. Un disastro. Poi torna al Milan. Un altro disastro.

Intanto perde il posto in Nazionale.

Infine decide di andare a giocare in Francia, prima al Nizza e poi all’Olympique Marsiglia, dove effettivamente non fa male, soprattutto grazie al livello del campionato transalpino, non  propriamente stratosferico.

L’ultimo capitolo della sua parabola si è visto in questa stagione mozzata dalla pandemia: alla soglia dei 30 anni passa al Brescia, la sua città, dove sembra possa finalmente ritrovarsi come atleta e come calciatore.

Pare che non ci sia riuscito neanche stavolta: prestazioni quasi sempre sottotono, in 19 presenze 5 gol, 5 gialli e un rosso.

L’impegno, per l’ennesima volta, non è mai stato all’altezza del talento.

E ho tralasciato volutamente il suo comportamento fuori dal campo, che tra i petardi lanciati dalla finestra del bagno che finirono con l’incendiare la sua stessa abitazione e la scommessa con l’amico napoletano che per 2000 € fece finire in acqua su uno scooter, potrebbe rivaleggiare giusto con quello dell’Ispettore Clouseau.

Lo aspettiamo da sempre come predestinato a diventare uno dei più grandi, e invece è stato solo uno dei più incostanti, uno dei più folli, magari anche uno dei più forti, ma solo tra quelli “normali”.

Quanti treni persi. Quante parole su ciò che poteva essere e non è stato. Quanti rimpianti, probabilmente più di tanti tifosi che non suoi.

Insomma, cosa avrebbe potuto fare Balotelli se non fosse stato Balotelli?

Mourinho già se lo chiedeva, nel 2009, in quello spogliatoio.

Forse lui lo sapeva fin da subito che Mario, nonostante tutto, avrebbe rappresentato una delle più grosse occasioni buttate dell’intera storia del calcio italiano.


Roborio



Balotelli nel Manchester in uno dei suoi proverbiali colpi di genio, particolarmente apprezzato da Dzeko e Mancini



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