CALCI AL TALENTO
È il 29 settembre 2009.
Si gioca Rubin Kazan vs
Inter, partita di Champions della fase a gironi.
Sì, è la Champions di
Mourinho, è uno dei primi passi in quella competizione dell’Inter del Triplete,
l’ultima squadra italiana che è riuscita a mettere le mani sulla coppa
continentale per club più ambita in assoluto.
A poco più di 10 minuti
dall’inizio del match si porta in vantaggio il Kazan col suo uomo migliore, il
trequartista italo argentino Alejandro Damian Dominguez. Un quarto d’ora dopo i nerazzurri pareggiano con Stankovic. 1-1. Questo sarà anche il risultato finale.
La particolarità di questa
partita è l’assenza per infortunio dell’Uomo dei Miracoli di quella
meravigliosa Inter: Diego Milito, uno degli attaccanti più forti che si siano mai
visti in Italia e forse nel Mondo.
Mourinho deve quindi
sostituirlo. Al suo posto gioca Mario Balotelli.
Qualche minuto prima del gol
di Stankovic, Balotelli prende un’ammonizione.
Finisce il primo tempo. Si
va negli spogliatoi. Mourinho pensa che si possa anche vincere,
ma che si debba soprattutto non perdere, perché un pareggio in un campo ostico
come quello del Kazan non sarebbe per niente da buttare. Quindi cerca di
evitare ogni rischio, uno dei quali è quello di rimanere in 10 per un eventuale
secondo cartellino giallo che potrebbe prendere qualcuno che è già stato
ammonito, ad esempio…Balotelli.
Conoscendolo, Mourinho gli
dedica 14 dei 15 minuti a disposizione nell’intervallo per fargli capire una
sola cosa: non deve prendere un secondo giallo. Solo questo.
“Mario, non posso sostituirti,
non ho nessun altro attaccante in panchina. Gioca solo il pallone, non toccare
mai nessuno. Quando perdi la palla non innervosirti, se ti provocano non
reagire, anche se l’arbitro fa un errore fregatene, non reagire”.
Abile motivatore e grande
psicologo, Mourinho. Sicuramente Mario ha interiorizzato il concetto.
Inizia il secondo tempo.
Passa un quarto d’ora.
Secondo giallo a Balotelli. Inter in 10.
Ecco. Questo, più di ogni
altra cosa, purtroppo, è Balotelli.
Un immenso spreco.
Ma non è soltanto questo,
certo. È anche un giocatore pieno di talento, e non è solo un modo di dire, perché
di talento ne ha davvero, e quando ha avuto voglia di giocare a calcio
seriamente, cose belle ne ha fatte vedere molte.
Basterebbe ricordare i due
gol fatti alla Germania nell’ormai famosa semifinale degli Europei del 2012,
che portarono malauguratamente l’Italia in finale a prenderne 4 dalla Spagna
dei Fenomeni.
In quell’occasione
Balotelli, in un quarto d’ora, stese una delle nazionali più accreditate per il titolo e storicamente più forti: prima, grazie ad un suo grande
stacco e ad un fantastico assist di Cassano, rubò il tempo al marcatore diretto
e a Neuer e insaccò in rete di testa; 15 minuti dopo, con un missile terra-aria
di una violenza inaudita che si schiantò poco sotto l’incrocio dei pali,
trafisse di nuovo il portierone tedesco.
Tutto questo a 22 anni
ancora da compiere.
A fine partita il cronista
Rai, intervistando Prandelli, l’allora commissario tecnico della Nazionale, gli
chiese: “Questa serata cambia la carriera di Mario Balotelli?”; Prandelli, giustamente,
rispose: “La carriera di Mario Balotelli è appena iniziata”.
Era finalmente nata una
nuova stella. Si era consacrato un campione. Super Mario era esploso
definitivamente.
No. Prandelli si era
sbagliato, come la maggior parte di tutti quelli che assistettero a quel match.
Era stata solo un’illusione, perché quella partita ha rappresentato il culmine
della carriera di Balo, costellata da lì in avanti di qualche alto e di
tantissimi bassi.
Va detto che qualche
settimana prima di quello storico trionfo sulla Germania, Mario, che in quel
momento giocava nel Manchester City, nell’ultima giornata di campionato fornì
l’assist decisivo ad Aguero per il 3-2 definitivo contro il Queens Park Rangers, che permise al
City di vincere in rimonta quella partita e di consegnare ai propri tifosi il titolo
della Premier dopo 44 anni di attesa. In quella stagione Balo, con 13 gol in 23
partite, contribuì a quello scudetto in modo decisamente concreto.
Ma questo, appunto, avveniva
prima degli Europei. Erano i prodromi di quel che sarebbe avvenuto poco dopo
nel massimo torneo calcistico continentale per squadre nazionali.
Dopo l’Europeo Mario, ancora
nel Manchester, deluse nettamente le aspettative, segnando un solo gol in 16
partite e fornendo prestazioni disastrose, tanto da essere ceduto al Milan
nella sessione di mercato di gennaio.
Ma in quella mezza stagione
rossonera sembrava di nuovo pronto a spiccare definitivamente il volo: 12 reti
in 13 presenze, prestazioni quasi sempre di alto livello, Balo era tornato!
No, sbagliato, solo un’altra
illusione: l’anno successivo la media gol cala nettamente, anche se grazie ai
rigori rimane più che dignitosa: 14 gol in 30 presenze. Ma le prestazioni sono
molto altalenanti, la presenza in campo è a tratti impalpabile, se non quando
si fa notare per ammonizioni, espulsioni e rigori falliti.
L’anno dopo passa al
Liverpool. Un disastro. Poi torna al Milan. Un altro disastro.
Intanto perde il posto in
Nazionale.
Infine decide di andare a
giocare in Francia, prima al Nizza e poi all’Olympique Marsiglia, dove
effettivamente non fa male, soprattutto grazie al livello del
campionato transalpino, non propriamente stratosferico.
L’ultimo capitolo della sua
parabola si è visto in questa stagione mozzata dalla pandemia: alla soglia dei
30 anni passa al Brescia, la sua città, dove sembra possa finalmente ritrovarsi
come atleta e come calciatore.
Pare che non ci sia riuscito
neanche stavolta: prestazioni quasi sempre sottotono, in 19 presenze 5 gol, 5
gialli e un rosso.
L’impegno, per l’ennesima
volta, non è mai stato all’altezza del talento.
E ho tralasciato volutamente
il suo comportamento fuori dal campo, che tra i petardi lanciati dalla finestra
del bagno che finirono con l’incendiare la sua stessa abitazione e la scommessa
con l’amico napoletano che per 2000 € fece finire in acqua su uno scooter, potrebbe
rivaleggiare giusto con quello dell’Ispettore Clouseau.
Lo aspettiamo da sempre come
predestinato a diventare uno dei più grandi, e invece è stato solo uno dei più
incostanti, uno dei più folli, magari anche uno dei più forti, ma solo tra
quelli “normali”.
Quanti treni persi. Quante
parole su ciò che poteva essere e non è stato. Quanti rimpianti, probabilmente più
di tanti tifosi che non suoi.
Insomma, cosa avrebbe potuto
fare Balotelli se non fosse stato Balotelli?
Mourinho già se lo chiedeva,
nel 2009, in quello spogliatoio.
Forse lui lo sapeva fin da
subito che Mario, nonostante tutto, avrebbe rappresentato una delle più grosse
occasioni buttate dell’intera storia del calcio italiano.
Roborio
Balotelli nel Manchester in uno dei suoi proverbiali colpi
di genio, particolarmente apprezzato da Dzeko e Mancini
Bella analisi di una grande delusione.
RispondiEliminaGrazie!
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