I 60 METRI PIÙ BELLI DEL CALCIO
Dello sport, nel nostro cuore, rimangono soprattutto i momenti migliori. E ogni tanto quei momenti restano
lì, per sempre.
Non sono necessariamente
legati ad un grande trionfo, anche se la vittoria, di solito, serve ad
imprimerli a fuoco nella nostra memoria.
Ad esempio il colpo di testa
di Pulici contro il Cesena, in tuffo, a non più di due spanne da terra, che il
16 maggio del ’76 consegnò lo scudetto al Toro all’ultima giornata di
campionato.
Indimenticabile. Anche per
chi non c’era.
E non sempre quei momenti
sono strettamente “nostri”, ovvero vissuti attraverso la nostra squadra del
cuore o il nostro idolo, di qualsiasi sport si tratti, perché certe imprese e
certi gesti vanno al di là del tifo.
Così, restando nel mondo
del calcio, non scorderemo mai l’incredibile gol di Van Basten contro l’URSS,
al volo, da una posizione che quasi oltrepassa le umane possibilità, nella
finale degli Europei del 1988, che assieme alla rete di Gullit permise
all’Olanda di sollevare al cielo la Coppa Continentale.
Per non parlare del gol
di Maradona contro l’Inghilterra, nei quarti di finale dei Mondiali dell’86,
quando Diego partì palla al piede qualche metro prima della linea di
centrocampo, scartò metà della squadra avversaria e depositò la sfera in porta
dopo una cavalcata di 60 metri, uno slalom inarrestabile che per bellezza
intrinseca, difficoltà tecnica ed importanza del match viene giustamente
considerato uno dei gol più belli mai segnati.
Questi sono i momenti
migliori.
Restano scolpiti nella
nostra memoria e non se ne vanno mai più.
Talvolta però, raramente, quei
momenti sono del tutto slegati da un mirabile gesto atletico.
Talvolta l’eleganza, la
coordinazione, la tecnica e la bellezza non c’entrano per niente.
Anzi.
E così può succedere che
nella testa di tutti coloro che hanno seguito il calcio negli ultimi 30 anni
spicchi un ricordo meraviglioso, tra i tanti: la maldestra corsa di un
sessantaquattrenne imprecante, carico di furia irrefrenabile, verso la curva
avversaria, a fine partita, in un sentitissimo derby di 20 anni fa.
Ma andiamo con ordine.
Siamo a fine settembre 2001,
è domenica, e si gioca la quinta giornata del campionato di Serie A.
Tra le tante partite spicca
un derby, che non è propriamente un derby, ma è forse il più sentito dei derby.
Brescia-Atalanta.
Le due città, Brescia e
Bergamo, distano circa 50 km l’una dall’altra, quindi la partita non è una vera
stracittadina. Ma la rivalità tra le due società, anzi, tra le due città, pare
affondi le proprie radici addirittura nel Medioevo, ai tempi di Federico
Barbarossa, tra sgarbi commerciali e battaglie; un’inimicizia atavica poi
traslata nel calcio e rinvigorita soprattutto nel 1993, dopo un match vinto 2-0
dal Brescia che terminò con uno spettacolo davvero poco edificante dentro e
fuori lo stadio, con 5 arresti e 20 ricoverati in ospedale.
Insomma, Brescia e Atalanta
non si stanno simpatiche, da sempre.
E stiamo parlando di due
belle squadre, perché in quel 2001 Brescia e Atalanta sono compagini di tutto
rispetto.
L’Atalanta è quella di Cristiano
Doni, uno dei trequartisti più forti che si siano visti in Italia negli ultimi
20 anni, con Taibi tra i pali e gente coriacea a difendere la baracca, tra i
quali Zauri, Carrera e Luigi Sala.
Il Brescia, semplicemente, è
quello di Roberto Baggio, che lì aveva appena cominciato a scrivere le ultime
meravigliose pagine della sua straordinaria carriera di fuoriclasse assoluto. E
con lui ci sono anche gli infaticabili gemelli Filippini, l’ottimo Federico Giunti,
regista di qualità, e Igli Tare ad affiancarlo in attacco.
Ma soprattutto è il Brescia
di Carletto Mazzone.
Nato nel ’37, “Sor Carletto
de Roma” ha allenato ovunque in Italia, a Firenze, Bologna, Roma, Cagliari,
Ascoli, Catanzaro, Perugia, Lecce, Livorno e Brescia, quasi sempre in massima
divisione, e l’anno scorso è stato finalmente inserito nella Hall of Fame del
Calcio Italiano, con le sue 797 panchine ufficiali in Serie A, record di tutti
i tempi.
Ma il vero record Carletto lo
deve alla sua sportività, alla sua schiettezza e alla sua contagiosa simpatia,
doti sempre più rare in un uomo di sport, ed è quello di essere con ogni
probabilità uno degli allenatori più amati di sempre.
Ma torniamo al nostro derby
del 2001.
Come si diceva, Carletto
siede sulla panchina delle Rondinelle bresciane. E la partita comincia bene per
i suoi: Baggio va in gol al 25’ con un bel tocco al volo. 1-0.
La gioia però dura solo 3 minuti,
perché improvvisamente la luce si spegne: in poco più di un quarto d’ora
l’Atalanta ne fa tre!!! Prima Sala, poi uno splendido bolide da fuori area di
Doni e infine Comandini di testa. Partita completamente ribaltata.
Il Brescia è a terra.
E Mazzone lo è ancora di
più, perché come se non bastassero le tre legnate appena incassate, per lui
inizia una partita nella partita, quella coi tifosi bergamaschi, che cominciano
a ricoprirlo di improperi di ogni genere, bersagliando anche la sua famiglia.
Fine primo tempo. Si va
negli spogliatoi. Mazzone è visibilmente abbattuto, contrariato e coi nervi a
fior di pelle. E quando si torna in campo va ancora peggio, perché gli insulti
ricominciano e vanno avanti con maggior vigore di prima.
Sor Carletto non la prende
bene. Il suo carattere sanguigno non gli permette di incassare oltre, e così
comincia una magnifica guerra verbale che di lì a poco sfocerà in un capolavoro
ineguagliabile.
E intanto il Brescia rialza
la testa, perché al 30’ della ripresa Baggio riceve palla in area da Tare, la
protegge…e in un amen si gira, elude il marcatore e insacca con un preciso
diagonale, 2-3!
Mazzone, rivolto verso la
curva degli orobici, comincia a prodursi in un delicato mantra: “Mo’ se
pareggiamo vengo sotto ‘a curva, li mortacci vostra!!! Se famo er tre pari
vengo lì sotto, li mortacci vostra!!!”.
A tempo ormai scaduto,
quando forse neanche Carletto ci credeva più, ovviamente succede
l’imponderabile.
Punizione dal limite
dell’area per il Brescia, in posizione defilata sulla sinistra guardando la
porta atalantina. Baggio va sulla sfera e calcia. Leggera deviazione di un
avversario e palla in rete. 3-3!!!! Tutti corrono ad abbracciare il loro
capitano, il Dio del Calcio che si era prodotto nell’ennesimo miracolo
balistico!
Che finale di partita!!! I
tifosi bresciani sono in delirio!!!
Ma in realtà non tutti
stanno guardando i giocatori che si abbracciano di gioia…moltissimi occhi sono
distratti da qualcos’altro…
Da un uomo di una certa età
che è partito dalla sua panchina e sta correndo come un pazzo verso la curva bergamasca. I suoi vorrebbero fermarlo, ci provano addirittura in tre, ma nessuno
ci riesce.
Quel bolide umano è
inarrestabile. Forse un po’ sgraziato per colpa degli anni, decisamente comico,
ma inarrestabile.
D'altronde l’aveva promesso,
“Se famo er tre pari vengo lì sotto!!!”.
E Carletto mantiene sempre
le sue promesse.
Qualche anno dopo, in un
intervista ai protagonisti di quella sfida, Igli Tare disse che in 5 anni al
Brescia non aveva mai visto Mazzone fare neanche uno scatto, e Antonio
Filippini rilanciò affermando che a suo avviso erano almeno 30 anni che Sor
Carletto non faceva una corsa.
Da una panchina fino alla
curva nella metà campo opposta. 60 metri circa. I 60 metri più belli della mia
vita di appassionato di calcio, persino migliori di quelli dell'inarrivabile gol
di Maradona ai Mondiali dell’86.
Sor Carletto Mazzone, un
uomo semplice, genuino e intelligente, pieno di quella spontaneità e di
quell’autoironia che tanto mancano agli allenatori di oggi, sempre
occupatissimi a prendersi troppo sul serio.
Uno degli ultimi eroi
romantici del calcio, di quelli che non riusciamo neanche più ad immaginarci
chiaramente, perché è passato troppo tempo dalla loro estinzione.
L’unico mio grande rammarico
è quello di non aver mai visto quest’uomo meraviglioso seduto sulla panchina
del Toro, raro fulgido esemplare di Alzatore di Sedie.
Ciao Carletto, grazie di
esistere!
Roborio
Mazzone sotto la curva dell’Atalanta