giovedì 16 luglio 2020




FUGA PER LA VITTORIA





La rovesciata.

Uno dei gesti più difficili e rari nel cacio, quantomeno quando si parla di quelle fatte bene, di quelle vincenti.

Un sincretismo di coordinazione, equilibrio, coraggio e propriocezione, un pensiero che trasforma un tiro in porta in un mondo capovolto pieno di armonia e bellezza.

E quali sono le rovesciate migliori? Quali vi sono rimaste nella memoria e nel cuore?

Quella di Van Basten, contro il Goteborg, nel 1992, in Coppa dei Campioni? Oppure, soprattutto se siete del Toro, quella di Belotti, che l’anno scorso sancì il definitivo 3-2 contro il Sassuolo?

Bellissime.

Ma LA rovesciata, se siete appassionati di calcio e anche solo un briciolo di cinema, in fondo, è UNA SOLA: quella di Edson Arantes do Nascimento, al secolo Pelé, in un magnifico film del 1981.

Ma andiamo con ordine.

Siamo in piena Seconda Guerra Mondiale, in un campo di prigionia di una non meglio precisata zona della Germania nazista, dove i detenuti sono prevalentemente britannici.

Il film si apre con un tentativo di fuga, finito malissimo, di uno dei prigionieri, e con la conseguente indagine sull’esecuzione sommaria del malcapitato che il comitato interno degli ufficiali britannici tenta di portare avanti.

E qui incontriamo subito i due personaggi cardine della storia: il Capitano John Colby, un ufficiale inglese, e il Maggiore nazista Karl Von Steiner.

I due si conoscono nel momento in cui noi li vediamo apparire sullo schermo, cominciano a conversare e dopo poche battute il tedesco riconosce il suo interlocutore: John Colby, prima della guerra, giocava nel West Ham e nella nazionale di calcio inglese! E anche Von Steiner è un grande ex giocatore, che tra l’altro fece parte della nazionale tedesca ai Mondiali disputati in Italia, nel 1934.

Ma il calcio non è la sola cosa che li unisce, perché in fondo, nonostante le loro divise e i loro schieramenti li contrappongano, si stimano molto ed hanno vedute del tutto simili su quel difficile momento storico.

Così, in una scena successiva al loro primo incontro, i due si ritrovano davanti ad una partitella che i prigionieri stanno giocando su un improvvisato, polverosissimo campo di calcio, imbastito all’interno del campo di prigionia. E lì, al Maggiore Von Steiner, che afferma “Se le nazioni potessero affrontarsi sul campo di calcio, non sarebbe una soluzione alla guerra?”, viene in mente una folle idea: quella di organizzare una partita tra una squadra nazionale tedesca ed una rappresentativa degli Alleati, ovviamente non per decidere chi vincerà il conflitto bellico, ma solo per tenere alto il morale delle truppe.

Ed è su questo avvenimento che ruota tutta la trama del film, perché l’idea di Von Steiner comincia a prendere sempre più corpo, fino a che il colonnello tedesco che dirige il campo deciderà che la partita si giocherà per davvero, peraltro a Parigi, nello Stadio Colombes, dove vennero disputati i Mondiali del ’38.

Anche il comitato interno degli ufficiali britannici è d’accordo sul disputare il match, soprattutto perché la cosa potrebbe rappresentare un’ottima occasione di fuga per tutti i prigionieri che faranno parte della squadra.

Squadra che Colby comincia così a comporre selezionando i migliori giocatori all’interno del campo di prigionia e strappando a Von Steiner la promessa che il tedesco si impegnerà a metterlo in condizione di giocare la partita ad armi pari, concedendo alla sua compagine la possibilità di allenarsi con continuità e di disporre di un equipaggiamento sportivo completo, ma soprattutto permettendogli di reclutare alcuni giocatori professionisti detenuti in altri campi di concentramento in Germania, pescati in una lista che lo stesso Colby provvederà a fornire a Von Steiner.

Questo, in sostanza, è il motore narrativo di Fuga per la Vittoria, un’ottima pellicola diretta dal grande John Huston, con due immensi attori come Michael Caine e Max von Sydow, che interpretano rispettivamente il Capitano Colby e il Maggiore Von Steiner, e con l’ottimo Sylvester Stallone degli anni di Rocky, I Falchi della Notte e Rambo, che dà il suo volto a Robert Hatch, lo “yankee” del campo di prigionia, un soldato americano specializzato in fughe che si ritroverà a fare il portiere nella squadra degli Alleati, senza peraltro aver mai avuto alcuna esperienza in merito.

Ma gli interpreti degni di nota non finiscono certo qui, perché la cosa forse più suggestiva del film è proprio l’identità dei calciatori che compongono il team degli Alleati, che sono in realtà dei veri calciatori professionisti, tra i più forti in assoluto dell’intero panorama calcistico mondiale di allora.

Tra questi impossibile non menzionare Osvaldo Ardiles, Campione del Mondo con l’Argentina nel 1978, Paul Van Himst, uno dei più prolifici bomber della storia del calcio belga, Bobby Moore, leggenda del calcio inglese e capitano della nazionale che sollevò la Coppa del Mondo nel ’66, e il già citato Pelè, forse il giocatore più forte di tutti i tempi (insieme a Maradona e Johan Cruijff).

Va sottolineato quindi che la pellicola è davvero gradevole non solo sotto un profilo strettamente cinematografico, ma anche dal punto di vista sportivo.

Molto apprezzabili ad esempio i duri allenamenti cui si sottopongono gli Alleati nel campo di prigionia, sulle note dell’esaltante colonna sonora del grande Bill Conti, sotto la direzione del Capitano Colby; oppure le lezioni di tattica che lo stesso Colby impartisce ai ragazzi sulla lavagna degli spogliatoi, compreso il momento in cui Luis Fernandez (Pelé) si appropria del gessetto per spiegare a tutti che in realtà la strategia di gioco più semplice ed efficace sarebbe quella di passare a lui il pallone in difesa ed aspettare che lo depositi in rete dopo aver scartato tutta la squadra avversaria.

Per non parlare dell’emozionantissima partita giocata allo Stadio Colombes di Parigi, le cui azioni di gioco, alcune delle quali davvero meravigliose, sono state concepite e messe in campo dallo stesso Pelé, che per l’occasione si era prestato anche come “coreografo” sportivo.

E poi c’è quella rovesciata. LA rovesciata. Un gesto così elegante e leggero, nella sua difficoltà, per cui anche un Maggiore della Germania nazista si alzerà in piedi ad applaudire.

In definitiva, se volete guardarvi un ottimo film storico infarcito di tanta bellezza calcistica, non potete assolutamente prescindere da Fuga per la Vittoria, fosse anche solo per imparare a fare bene le rovesciate.

Ci sarebbe poi da aggiungere che il film è ispirato ad una storia vera, una partita di calcio tra ufficiali tedeschi e giocatori ucraini che venne giocata nel 1942 ed in seguito denominata La Partita della Morte.

Vi lascio immaginare come finì la vicenda.

Ma questa è un’altra storia.

Noi teniamoci ben stretto il film.

Uno degli effetti del cinema è proprio quello di farci vivere una realtà diversa da quella che talvolta la vita vera ci riserva.

Quindi viva il cinema. E viva il calcio, quello bello.


Roborio



Pelé allo stadio Colombes




La strategia di Pelé




La rovesciata

lunedì 6 luglio 2020


L'INCREDIBILE FINALE DEL 1989


Questa volta ci occupiamo di pallacanestro italiana e più precisamente della partita più imprevedibile, folle e ricca di polemiche che sia mai stata giocata.

E’ il 27 maggio 1989, siamo a Livorno, più precisamente all’interno del PalaMacchia gremito all’inverosimile. Si sta giocando la quinta partita della finale scudetto tra la Libertas Liburnia Basket, sponsorizzata Enichem, e la Pallacanestro Olimpia Milano, sponsorizzata Philips.

Livorno gioca in casa, grazie al secondo posto in classifica. Nei play-off si è sbarazzata delle due Bolognesi (2-0 alla Fortitudo ai quarti e 2-1 alla Virtus in semifinale).

Più tortuoso il cammino di Milano che, dopo il quinto posto nella stagione regolare, elimina Desio agli ottavi (2-1), Treviso nei quarti (2-0) e, in semifinale, la prima in classifica, Pesaro (2-0).
In realtà gara 1 è stata vinta da Pesaro, che si è vista assegnare la sconfitta 2-0 a tavolino, a causa di una monetina, lanciata dagli spalti, che ha colpito sul cranio Dino Meneghin.


Milano è il solito squadrone: il già citato “monumento” Dino Meneghin, McAdoo, D’Antoni, Premier, Pittis, Pessina e King guidati da coach Casalini, braccio destro di Dan Peterson per 9 anni e promosso ina capo allenatore l’anno prima.


Livorno ha una rosa di qualità, meno profonda dell’Olimpia, magistralmente allenata da Alberto Bucci: Fantozzi, che ne diventerà una bandiera, Carera, Alexis, Tonut, Forti e un giovane De Raffaele che trionferà, in Italia e in Europa, molti anni dopo, come coach della Reyer Venezia.

Ci sono tutti gli ingredienti per un grande spettacolo, ma nemmeno il miglior sceneggiatore di film thriller avrebbe potuto creare un finale così.

Mancano 34 secondi alla sirena, Milano conduce 86-85 con possesso palla. 
La sfera viene gestita da Mike D’Antoni che fa scorrere il cronometro, a 7 secondi dal termine serve Premier, posizionato sulla linea dei tre punti che, pressato, è costretto a un tiro affrettato, si alza in sospensione, la palla rotea ma  incoccia sul ferro.

Il rimbalzo è preda del livornese Alexis e a quel punto mancano 4 secondi alla fine. L’americano serve rapidamente Fantozzi (cognome che certo non è sinonimo di buoni presagi), che riceve poco prima della metà campo. Palleggia per 4/5 metri e poi serve con un passaggio perfetto Andrea Forti, liberissimo sotto canestro. Appoggio al tabellone e due punti.


L’arbitro Grotti, che è vicino al tabellone, assegna il +2 e anche un fallo a favore dello stesso Forti. 

Nulla si sa di cosa abbia deciso o visto l’altro direttore di gara, il Signor Zeppilli, che era in una posizione migliore per vedere il cronometro e per verificare se la palla a spicchi avesse lasciato le mani del livornese, prima della sirena o dopo.

A questo punto succede il finimondo: i giocatori di Milano esultano, la maggior parte correndo verso gli spogliatoi, perché credono il canestro sia avvenuto a tempo scaduto; quelli di Livorno fanno altrettanto, convinti che la realizzazione sia avvenuta in tempo utile.

Al suono della sirena, decine di tifosi, avevano invaso il parquet per festeggiare e abbracciare i loro beniamini, ritenendo avessero vinto il titolo.

Anche il commentatore RAI, Gianni De Cleva, è in piena, comprensibile, confusione. La sua postazione, infatti, è a bordo campo, sommersa dai tifosi e non può avere certezze sulla validità o meno del canestro: in un primo momento annuncia “dovrebbe essere vittoria di Milano, la sirena era già suonata!”.

Ovviamente restando in attesa di comunicazioni ufficiali da parte degli giudici di gara e/o degli arbitri, che erano scappati negli spogliatoi.

Mentre regna l’incertezza, Premier, che è uno dei pochi giocatori milanesi rimasti sul terreno di gioco, circondato, discute con un gruppo di tifosi, quando viene colpito alle spalle da uno di questi (successivamente si scoprirà essere un addetto della Società livornese). 
Con i nervi a fior di pelle per la tensione, reagisce sferrando un pugno all’assalitore. 
Nasce un parapiglia che viene sedato, a fatica, da due giocatori di Livorno, da un dirigente di Milano e dalla decina di Carabinieri presenti.

Premier

Premier, mentre viene portato, a forza, negli spogliatoi, si lascia andare a un gesto, prolungato, poco signorile verso i tifosi avversari.

Dopo circa due minuti dal tiro sferrato da Forti, si alza un boato e il buon De Cleva annuncia che “una decisione del tavolo rovescia il verdetto”. 

Quindi Livorno campione, confermato dalla sovra impressione della RAI a tutto schermo.

Ad avvalorare l’incertezza che si respira, il collegamento TV si chiude con i festeggiamenti dei tifosi di casa, con tanto di bandierone, mentre il compianto Franco Lauro (dal campo) e De Cleva rimandano ai telegiornali per avere il verdetto definitivo.

Il TG1 delle 20 assegna il titolo ai toscani mentre, al TG2 delle 20.30 e sul Televideo l’esito viene ribaltato.


Zeppilli negli spogliatoi aveva dichiarato che il canestro non poteva essere valido perché lui aveva visto, con certezza, che era stato scoccato dopo il suono della sirena.
Versione che ha confermato ancora qualche anno fa, spiegandolo sul libro di Flavio Tranquillo: “Altro tiro, altro giro, altro regalo”.
Racconta che si trovava in posizione perfetta, alle spalle di Fantozzi, con una buona visuale su Forti e molto vicino al tavolo dei giudici. Di lì ha potuto sentire, nitidamente, la sirena nel momento in cui Forti stava ricevendo la sfera, di fatto, annullando immediatamente la realizzazione.

Lo stesso ex direttore di gara dichiara anche che gli ufficiali di campo non hanno mai segnato né a referto né a tabellone i due punti a Livorno.

Il caso viene analizzato a fondo, nell’edizione della Domenica Sportiva, da Carlo Sassi che trasmise un fermo immagine che dava ragione a Zeppilli.

Di contro, a Livorno, sostennero e sostengono tutt’ora che le immagini fossero leggermente sfalsate rispetto al cronometro in campo (anche pochi millesimi di secondo sono determinanti in questi frangenti).

E così le proteste dei tifosi labronici si unirono a quelle dei pesaresi, che non avevano affatto gradito la sconfitta a tavolino della semifinale.

Livorno si giocò l’ultima carta presentando un reclamo, perché al milanese King erano stati fischiati 5 falli e nonostante ciò continuò a giocare. Ricorso respinto perché, secondo i giudici, si era trattato di un errore tecnico, ma per i regolamenti federali non poteva essere oggetto per un reclamo.

Dopo trent’anni circa, ancora non si hanno certezze sulla validità o meno del canestro, ognuno rimane convinto di avere ragione tra i tifosi ma anche tra i giocatori.


Panino